sabato 9 luglio 2011

HUMAN RELACTIONS

L’unico vincolo umano nei ritmi di lavoro è costituito, secondo Taylor, dalla resistenza fisica ad uno sforzo prolungato. E’ proprio questa la via che le prime ricerche sul campo cominciarono a percorrere.

Gli studi sulla fatica permisero ben presto di osservare che essa è associata al fenomeno della monotonia e che entrambe provocano un rallentamento dei ritmi lavorativi ed un abbassamento della soglia dell’attenzione. A seguito degli studi di tre scienziati inglesi, Wyatt, Fraser e Stock, si diffusero le prime osservazioni in merito alle modalità per risolvere o attenuare il problema provocato dai due fenomeni congiunti. Gli studiosi proposero alcuni metodi che, per la prima volta, attribuivano la giusta importanza all’aspetto relazionale di ogni singolo lavoratore. Si proponeva, infatti, di svolgere più attività durante uno stesso turno, dotate di senso compiuto e di cui il lavoratore doveva poter prendere coscienza; gli operai avrebbero dovuto lavorare in postazioni che non favorissero l’isolamento, ma la formazione di gruppi spontanei; dovevano essere introdotti periodi di riposo e ripristinata la retribuzione a cottimo.
A partire dagli esperimenti di Elton Mayo cominciò la considerazione della natura sociale e relazionale dell’individuo e l’osservazione della rilevanza delle motivazioni e del bisogno di sicurezza insito in ognuno trasformerà l’azienda da apparato esclusivamente tecnico in un sotto-sistema sociale più flessibile ed equilibrato.
Nel 1924 presso le Officine Hawthorne dello stabilimento della Western Electric Company situate in un sobborgo di Chicago fu avviato un programma di ricerche sperimentali sul grado di connessione esistente tra illuminazione e rendimento. Dopo una serie di rilevazioni fatte basandosi sul livello di produttività raggiunto in diverse condizioni d’illuminazione, i risultati si rivelarono inaspettati e il rapporto tra le due variabili (produttività e illuminazione) si mostrò così anomalo ed irregolare da far pensare all’esistenza di una variabile interveniente, il cosiddetto “fattore umano”, ovvero il complesso dei fattori psicologici latenti che condiziona il comportamento manifesto dei soggetti. La dimostrazione dell’esistenza del “fattore umano” si ebbe nella rilevazione di un effetto particolare che fu poi denominato “effetto Hawthorne”. Questo fenomeno consisteva nel comportamento che i lavoratori, consci di essere soggetti ad osservazione, mettevano in atto. Il comportamento comportava un miglioramento delle prestazioni lavorative e di conseguenza un aumento della produttività; quindi presumibilmente le trasformazioni positive rilevate non sarebbero derivate tanto dagli effettivi miglioramenti delle condizioni lavorative, bensì dagli esperimenti stessi.
Mayo pose quindi l’attenzione, a differenza di Taylor, non solo sulla retribuzione, ma sull’intero contesto lavorativo, nonostante si percepisca l’importanza di perseguire l’obiettivo della massima produttività, si comprende anche la necessità di orientarsi al raggiungimento di questo scopo attraverso mezzi diversi rispetto a quelli proposti dal taylorismo.

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